Shakespeare in Venice. Luoghi, personaggi e incanti di una città che va in scena.

di Alberto Toso Fei, Shaul Bassi
Edizioni Elzeviro

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Il Mercante di Venezia e Otello furono ispirati da un reale viaggio a Venezia o Shakespeare immaginò la città a distanza per scrivere i suoi due capolavori veneziani? Anche se gli studiosi ritengono che egli non abbia mai messo piede in Italia, nel passeggiare per Venezia è forte la tentazione di credere il contrario. Perché i campi e le calli di Venezia raccontano molte storie e Shakespeare non sapeva resistere alle storie. E sono così tanti i luoghi, i monumenti maestosi e gli angoli nascosti che sembrano sussurrare “Shakespeare è stato qui”.

“Shakespeare in Venice” è stato scritto a quattro mani con Shaul Bassi, docente di lingua e letteratura inglese all’Università Ca’ Foscari di Venezia ed esperto shakespeariano. Il libro è stato costruito ponendo dei seri interrogativi sull’eventuale presenza storica del bardo tra le calli veneziane, cercandone le tracce in giro per la città. La conclusione è che, in fondo, non è così importante sapere con certezza se Shakespeare abbia mai messo piede nei territori della Serenissima, perché è talmente viva l’immagine che le sue opere ci restituiscono della Venezia del Rinascimento che ancora oggi è possibile ritrovarne le atmosfere e i luoghi che hanno ambientato i suoi capolavori.

Sono state selezionate così quaranta voci che rimandano direttamente al commediografo inglese, ricavate sempre da citazioni delle opere: luoghi, personaggi, vicende, situazioni – da San Marco a Rialto, unico posto nominato esplicitamente nelle opere veneziane di Shakespeare, dal carnevale al ghetto, istituito proprio all’inizio del Cinquecento, dalle figure dei condottieri più famosi ai dogi e agli studiosi dell’epoca – che lasciano intravedere una Venezia vista con gli occhi di Shylock e del Moro. Una sorta di Venezia “elisabettiana”, tutta da scoprire. Le fotografie sono di Gabriele Gomiero. Il libro è edito da Elzeviro.

Ecco una delle situazioni descritte nel volume:

Il Carnevale a Santo Stefano

Shylock
What, are there masques? Hear you me, Jessica,
Lock up my doors; and when you hear the drum
And the vile squealing of the wry-necked fife,
Clamber not you up to the casements then,
Nor thrust your head into the public street
To gaze on Christian fools with varnished faces,
But stop my house’s ears–I mean my casements.
Let not the sound of shallow fopp’ry enter
My sober house.

The Merchant of Venice
Act II, Scene 5

Cosa, ci saranno mascherate? Ascoltami, Jessica:
spranga le porte, e, quando sentirai il tamburo
e il vile pigolìo del pifferaio dal collo torto,
non arrampicarti alle finestre allora
e non sporgere la testa sulla strada
a guardare folli cristiani dalle facce dipinte;
ma chiudi le orecchie della mia casa, voglio dire le mie finestre;
che il suono della futile vanità non entri
nella mia casa austera.

Il mercante di Venezia
, Atto II Scena 5

Shakespeare era affascinato dai mascheramenti di ogni tipo. Moltissime delle sue trame drammatiche ruotano attorno a personaggi che celano o mutano la propria identità, come per esempio fa Porzia nel Mercante di Venezia quando si traveste da dotto esperto di legge per salvare Antonio, e non è un caso che uno dei libri preferiti dal poeta fosse Le metamorfosi di Ovidio. Come dubitare che se fosse stato a Venezia, Shakespeare sarebbe stato attratto dalla teatralità e festosità del Carnevale veneziano. A Venezia ci si poteva mascherare da ottobre fino a martedì grasso, anche se il culmine dei festeggiamenti era a partire da Santo Stefano, giorno nel quale terminava la “tregua” natalizia e con il “Liston delle Maschere” ci si avviava alle lunghe settimane finali. Il bisogno di mascherarsi, di abbandonarsi all’ebbrezza e al gioco è in realtà antichissimo, al punto che sull’origine del moderno carnevale si sprecano le ipotesi: c’è chi vorrebbe far risalire i festeggiamenti ai Saturnali romani, chi alle orge dionisiache, chi a perduti riti caldei.
Comunque sia, la maschera ha sempre assunto un significato rituale: era lo spogliarsi della propria identità pubblica per seguire con più libertà i propri istinti, in uno strano miscuglio di verità e illusione. Una sorta di abito magico che donava un potere nuovo e insperato a chiunque l’indossasse. Anche questa presunta onnipotenza, in realtà, era puramente illusoria: chiunque si mascherasse aveva l’impressione di non avere più vincoli e legami con la sua vita di sempre; ma in realtà non era proprio così, come fa acutamente notare Giustiniana Wynne de Rosenberg in una lettera indirizzata al fratello: “l’abito fu la maschera veneziana, che voi conoscete, e che può dirsi piuttosto un abito di convenzione che di decorazione. L’uso di quella non è men vantaggioso al popolo che alla nobiltà. Questa vi si nasconde per entro con preziosa libertà, gran parte dell’anno e il popolo crede, che la rassomiglianza dell’abito lo inalzi a rassomiglianza in certo modo al signore. Il saggio Governo ha conceduto privilegi alle maschere, e il dabben popolare, lusingato da questa ingegnosa comunanza, crede di non aver più nessuno al di sopra, quand’ha la maschera al volto”.

Tra i “listoni” famosi, in tempo di carnevale, vi era sicuramente quello di campo Santo Stefano, una passeggiata pubblica che si faceva sopra una lista di lastricato, posta nel mezzo del campo, che nel resto della sua estensione era ricoperto d’erba, come gli altri campi veneziani. Esiste ancor oggi una stampa di Giacomo Franco, che mostra “le maschere in Vinegia nel carnovale, […] le quali sogliono quasi tutte alle ore 23 ridursi in piazza di S. Stefano, e quivi passeggiando trattenersi fino a quasi due hore di notte”. Fu sempre in campo Santo Stefano che si tenne, il 22 febbraio 1802, l’ultima caccia dei tori di un carnevale veneziano. Era una sorta di corrida (ne avvenivano anche con gli orsi) che si teneva nel corso dei mesi finali, assieme alle più semplici “regatte” di carriole. Tutti i festeggiamenti in genere – in particolare quelli nobiliari privati – avevano sempre un’aura di grandissimo sfarzo. Tra le maschere era diffusissima la Bautta (formata dal tricorno, il velo che correva fin sulle spalle e la maschera vera e propria, detta “larva” o “volto bianco”), che consentiva soprattutto ai patrizi di muoversi senza essere riconosciuti. Una condizione che non sempre garantiva dei vantaggi, come appare da un episodio del 1548 in cui, dopo aver partecipato in compagnia di un vescovo e di un abate, a giostre e tornei proprio a Santo Stefano, il Duca di Ferrandina si recò a Murano per una festa. Celato dietro la sua maschera, fece un invito a una gentildonna locale, scatenando le ire di due nobili veneziani, tra cui Marco Giustinian. Ne nacque una rissa in cui Giustinian ferì mortalmente alla testa il duca, e quest’ultimo, per errore, sferrò una letale stoccata al proprio amico Fantino Diedo: entrambi morirono dopo pochi giorni.

Se Shylock deride le mascherate dei cristiani che consentiranno loro di portargli via la figlia Jessica, è anche vero che a breve avrebbe festeggiato il Purim, una forma di carnevale ebraico che celebra lo scampato sterminio degli ebrei per mano del malvagio ministro persiano Hamman, secondo la storia narrata nel Libro biblico di Ester. A Venezia abbiamo notizie precise su come Purim venisse celebrato nel Ghetto e siamo debitori allo storico Brian Pullan della storia di un giovane marinaio cristiano, Giorgio Moretto, accusato dall’Inquisizione di aver violato le proibizioni della Quaresima per essere andato a festeggiare insieme agli ebrei. Moretto si difese sostenendo che egli intendeva corteggiare una ragazza ebrea, Rachel, figlia di Isacco il Sordo, il quale, accortosi dell’insidia, fece sbarrare (“stropare”) “porte et balchoni”, come fa Shylock. La testimonianza di Moretto non fu creduta ed egli subì una lieve condanna. Ma, recidivo, ritornò a frequentare il Ghetto e alla fine gli fu comminata la pena del remo per tre anni. Come scrive Pullan: “Quest’umile Lorenzo non potè fuggire colla sua Jessica”.

Anno di pubblicazione: 2007

Genere: Guida turistica, Narrativa

Pagine: 221

EAN: 9788887528190

Listino: 19.9

Editore: Elzeviro

Data di uscita: 01/01/2007