China discendente Alberto Toso Fei blog

China discendente

Millemila anni fa a Venezia nevicava tutti gli inverni. Mica solo due giorni a marzo che poi è già primavera in un attimo e non hai nemmeno terminato di lamentarti dell’inverno che non finisce più che già inizi a lagnarti del caldo. Di quegli inverni – la mente umana è veramente insondabile – non ricordo i geloni, il freddo umido, il fatto che spesso l’acqua alta saliva sotto la neve solidificata moltiplicando il disagio alla n, che a casa faceva un freddo becco (noi avevamo una stufa a gas il cui tubo attraversava una stanza e mezza prima di uscire). No: ricordo solo quanto era divertente. Dovete sapere che avevo anche una quindicina d’anni e a quell’età il mondo si divide in cose divertenti e in cose serie (serie=noiose=non divertenti). Ah, ricordo anche che la neve appena scesa seppelliva in una coltre di fresco biancore ogni cosa, anche le merde dei cani che padroni mediamente più incivili degli attuali (all’epoca NESSUNO si sarebbe SOGNATO MAI di tirare su UNA CACCA DI CANE) lasciavano esattamente laddove il loro pupillo si era ingegnato di farla, costringendoci a individuarle da infinitesimali gibbosità del manto che neanche il senso di Smilla. A volte non ci si riusciva; ma in fondo anche questo faceva parte del divertimento, finché non toccava a te.

Però voglio narrarvi di un episodio specifico, legato a una consuetudine in voga allora a Murano – subito dopo ogni nevicata – nei meravigliosi e ruggenti anni Ottanta in cui l’edonismo reaganiano imperava, l’eroina falciava ragazzini inermi, i Duran Duran cantavano “Rio” e le giunte socialiste di Ca’ Farsetti distribuivano milioni a pioggia. Specialmente quando aveva nevicato di notte, al mattino c’era una sorta di corsa folle, a metà strada tra Wacky Races (“Muttley, fai qualcosa!”) e la corsa delle bighe in Ben Hur. Solo i più scaltri e sagaci guerrieri Shaolin accedevano alle porte del regno, ovvero l’ingresso del Consiglio di Quartiere, dove un numero limitato di eletti – selezionato appunto dall’ordine di arrivo – veniva accoppiato, munito di pala e sacco di sale e mandato a spalare le calli e le fondamente dell’isola, sotto la guida sapiente di un vigile urbano.
Sei ore di lavoro (o forse cinque? la memoria non mi supporta fino a questi dettagli) che venivano retribuite con CINQUANTAMILA LIRE (queste le ricordo benissimo). Come dire che oggi a un ragazzino di quattordici anni daresti cento euro per spalare un po’ di neve e spargere sale sui ponti. Era miele per noi studentelli, che con grande abnegazione e fatica rinunciavamo a un folle viaggio sotto la neve per raggiungere una scuola fredda e inospitale dove assistere a sei ore di lezioni perlopiù incomprensibili, e servivamo invece la comunità con le nostre imberbi ma forti braccette. Peraltro mamma e papà erano di norma d’accordo.
Non so dirvi quante volte abbia vinto la lotteria della pala da neve. Ne ricordo solo una con grande precisione, sebbene non ricordi chi fosse l’amico che quella mattina era assieme a me. Arrivati alla seconda ora di creazione di corridoi lungo le calli (le fondamente erano più divertenti, perché bastava partire dal muro e spingere la neve in acqua) il vigile che ci accompagnava si ricordò di importanti e irrinunciabili pratiche da sbrigare in ufficio, e scomparve poeticamente tra i fiocchi. Avremmo potuto darci, ma eravamo ragazzetti per benino, così proseguimmo per almeno un’altra ora e mezza. Arrivati che fummo a una certa altezza di una certa fondamenta, una signora un po’ in età aprì la sua finestra al pianterreno e ci chiese se potevamo per favore spalarle il vialetto di casa, quattro o cinque metri che dall’ingresso arrivavano al cancello esterno. Ci aprì e in dieci minuti archiviammo la pratica. Voleva darci la mancia, ma facemmo gli splendidi (facile con cinquantamila lire già in tasca), e allora ci invitò a entrare “per darci una calda”.
E in casa ci fece conoscere una cosa della quale non avevamo fino a quel momento immaginato nemmeno l’esistenza: la China, che perduto il suo status Sette-Ottocentesco di farmaco contro la malaria, si trasformò in un amaro digestivo. Solo che per digerire devi avere prima mangiato, e noi in corpo avevamo a quel punto a malapena la colazione del mattino, e quattro ore di lavoro. Dovete sapere che moltissimi adulti, allora, iniziavano la giornata con un tonificante bicchiere di China; lo scoprii quella mattina. La signora fu generosa, e a noi sembrava brutto rifiutare; ma dopo il terzo bicchiere pieno fino all’orlo decidemmo di essere sufficientemente tonici, e salutando con cortesia uscimmo barcollando all’aperto. Nemmeno il freddo in faccia riuscì a rianimarci. Da quel momento in poi i ricordi di quella giornata sfumano dal bianco neve al nero di China; credo sia stata l’ubriacatura più seria della mia vita.
Ma ancora oggi, quando nevica (poco), non posso fare a meno di pensare a quegli inverni, alla corse sotto la neve per accaparrarsi soldi da reinvestire in un 45 giri o in un paio di tubolari da pallacanestro griffati, al fatto che il mondo era suddiviso in cose divertenti e non divertenti (con una netta predominanza delle prime) e alla China, che per la cronaca non ho mai più toccato in vita mia. Tutto cancellato dai cambiamenti climatici, maledetto buco dell’ozono.